Un articolo che condivido sugli sport pericolosi

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Sedume 3.0
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Un articolo che condivido sugli sport pericolosi

Messaggio da Sedume 3.0 » 30/10/2011, 07:28

TRATTO DA MOTONLINE.COM


http://rivola.motonline.com/senza-categ ... ericolosi/


Sport pericolosi


Tutti i piloti sanno che correre comporta inevitabilmente dei rischi, ma la ricerca dei propri limiti è uno stimolo che fa superare la paura o il pensiero puramente razionale

“Correre è pericoloso e tu lo sai”. Così era scritto sul pass rilasciatomi la prima volta che mi capitò di assistere a una corsa motociclistica in Inghilterra sul circuito di Silverstone. E la stessa frase era riportata nel retro dei biglietti in vendita al pubblico. Era il 1974: Silverstone era un circuito stretto, senza spazi di fuga e con una corsia box in cui faticavano a starci moto e meccanico lasciando spazio per il transito. La cosa che più mi sconvolse fu il metodo di partenza per le prove: tutti i piloti (tanti) si allineavano dietro ad un’automobile munita di larghi cancelli che chiudevano la pista (come si usa per le corse dei cavalli); l’auto partiva e, acquistata una certa velocità, richiudeva su di sé i cancelli e le moto si lanciavano superandola a destra e a sinistra.
La filosofia inglese nei confronti degli sport che comportano rischi è cristallina: “correre è pericoloso e tu lo sai”. Punto.
Questo spiega il perdurare del Tourist Trophy e il successo di tanti piloti britannici negli Anni ’50 e ‘60, quando tutte le piste erano trappole spesso mortali.
I popoli latini, gli italiani in particolare, sono molto più sanguigni, più emotivi, ma anche, almeno sotto questo aspetto, più ipocriti. Qui si fa sempre finta di ignorare che certi sport, come l’alpinismo, le corse di velocità in ogni loro espressione, l’acrobazia aerea, il paracadutismo e tanti altri siano pericolosi. Lo si scopre, con sgomento, quando si debbono contare delle vittime. E allora si tira in ballo di tutto, possibilmente senza conoscere in modo specifico l’argomento di cui si disserta; ci si scandalizza, si invocano provvedimenti a tutela di quegli incoscienti che praticano certi sport; si spandono parole e lacrime di coccodrillo a fiumi.
La realtà invece è uguale in Italia e in Inghilterra e in tutto il mondo: c’è, e c’è sempre stata, tanta gente che ama confrontarsi col rischio, mettersi alla prova in situazioni difficili . Io sono fra quelli. Ho cominciato a correre per vedere che cosa sarei stato capace di fare misurandomi con piloti esperti e già noti: cercavo i miei limiti e sapevo benissimo che questa ricerca non era esente da rischi, anche molto pesanti. Non esiste limite che si possa raggiungere senza mettere in gioco qualcosa di importante.
A me è andata bene, a molti altri no. Negli Anni ’70 la maggior parte dei piloti perdeva la vita in corsa per l’impatto contro ostacoli fissi a bordo pista. I giornali parlavano di fatalità e di sfortuna, ma si trattava invece di muri, pali, alberi e guardrail. Il grande e ipocrita scandalo che ad ogni morte (cioè molto, molto spesso) si sollevava, ha avuto però come risvolto positivo la creazione di piste sicure, o almeno molto più sicure di prima, con spazi di fuga adeguati. Se questa linea di comportamento non si fosse imposta, e soprattutto non avesse dimostrato la sua enorme efficacia, in Inghilterra probabilmente si correrebbe ancora con piste vecchia maniera e con un numero di vittime all’anno pari a quello del sanguinario TT.
Però la pericolosità insita in tanti sport (come in tanti mestieri, spesso sottopagati) non è e non sarà mai completamente eliminabile. Simoncelli aveva scelto di essere un pilota; aveva cominciato sull’onda di una grande passione, pagando di tasca propria pur di correre e non potendo puntare sulla certezza del successo che poi gli ha arriso. Ridicole le critiche di chi vorrebbe la fine di questo sport per tutelare ragazzi incoscienti che mettono a repentaglio la vita per amore di gloria e di guadagno. Buffonate! Il 95% di chi corre fatica a mettere assieme il budget per poterlo fare; il 100% inizia la carriera di pilota solo per passione e pratica questo sport in rimessa economica.
Può finire male, ogni pilota lo sa e lo accetta. Oggi è raro e per un evento fatale come quello di Simoncelli occorrono diverse concause sfortunatamente coincidenti. Il grande risalto, l’enorme commozione che ha destato la sua scomparsa è anche la testimonianza che l’evento luttuoso nel nostro sport è ormai molto meno frequente che in passato. Quando a Monza, nel 1973, si contarono cinque morti in cinquanta giorni – Pasolini, Saarinen, Chionio, Galtrucco, Colombini – nessuno pensò che fosse il caso di organizzare tre dirette televisive per i funerali.

Tags: Chionio, Colombini, Galtrucco, Pasolini, Saarinen, Silverstone, Simoncelli

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Messaggio da iteuronet » 30/10/2011, 09:31

Straconcordo ad eccezione delle ultime righe.Se oggi gli incidenti mortali sono ,per fortuna,molto rari é dovuto in gran parte ai progressi in fatto di sicurezza,attiva e passiva.Inoltre la componente mediatica nel 73 era del tutto trascurabile.I corridori praticamente sconosciuti, se non nel ristretto giro degli appassionati.Meno male che nel caso del Sic ,non ci sia stato qualche parlamentare che non abbia proposto di proibire le corse in moto.

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Messaggio da bat21rsv » 30/10/2011, 16:34

confesso che l'ho temuto anche io ma ssshhhh non facciamo venire delle idee ........

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