Quanto spazio e quanto tempo occorrono per capire le cose.
Il nostro viaggiare è concentrato in velocità che non sono nostre.
Da millenni camminiamo con le nostre gambe, da pochi momenti abbiamo cominciato ad utilizzare l’energia termica per spostarci più velocemente, e non siamo ancora in grado di assimilare contemporaneamente quello che vediamo lungo la strada, e forse non lo saremo mai.
Tutti quei brandelli di immagini che si percepiscono da dentro il casco, che provengono da quella seggiola che è la strada, scorrono su questo grande schermo che è il mondo intero.
Come spettatori privilegiati, siamo invitati a questa grande immagine di luoghi nuovi, che accende la fantasia, alimentandola con altri pezzi di realtà.
Cerchiamo, per tutta la vita, di dare compiutezza a quella ricerca del senso delle cose che mai ci lascia sopiti o accontentati. Durante il viaggio raggiungiamo la libertà e la soddisfazione quando c’è il punto di contatto tra la nostra aspettativa e il reale. Quando la strada si riempie di curve, quando attraversiamo una foresta nell’ora che precede il tramonto mentre la luce entra come l’aria sotto ad una coperta, quando di fronte alle montagne lo stupore per la bellezza ci costringe alla sosta per dedicarsi, rapiti, alla contemplazione, allora c’è l’esperienza della libertà.
Questi rapidi momenti giustificano il viaggiatore, gli lasciano una lunga onda di piacere che si protrae per giorni, ma che inevitabilmente decresce fino a cadere nel ricordo. La varietà e l’ampiezza del mondo fanno sì che il viaggiatore si senta sospinto alla continua ricerca di questa soddisfazione tramite i modi che conosce.
E si rimette in marcia, non pago, mai dissetato se non per pochi istanti.
Ogni volta torna con qualche immagine nuova, che riassapora con dolce malinconia nei momenti in cui la possibilità di viaggiare è lontana.
L’aspettativa si fa tanto più forte quanto più si avvicina il momento della partenza: un nuovo inizio, una nuova possibilità di incontrare quella sensazione, tutto è nuovo e ancora da compiere. La bellezza dell’imprevisto, del bello ancora da scoprire in forme ancora da decifrare, questo riempie di eccitazione il viaggiatore che si dedica alla preparazione del bagaglio.
Rimangono pochi istanti per ogni viaggio percorso; sono momenti in cui l’uomo si sforza di ricordare tutto quello che riesce, per far rivivere tutta la sensazione di benessere che sentiva prima.
E così io mi ricordo della motocicletta che scivola sull’asfalto tra Lizzano e Sestola, incollata in maniera incredibile alla terra. La forza di gravità raddoppiata permetteva di godere di una sensualità nella percorrenza della curva che poche volte ho sperimentato. Curva dopo curva, un cambio di direzione dopo l’altro, la mia moto si inclinava vicinissima al terreno senza che io mi impegnassi per farlo. La sintonia totale, l’essere uno dipendente dall’altro, costruito uno dentro l’altra. Succede quando utilizzi qualcosa per quello per cui è fatto. Succede alla moto con me, con me per la moto.
Il rumore del motore che cambia di giri in continuazione, scintilla dopo scintilla, giro dopo giro dell’albero motore. Un continuo cambio di rotazione della manopola del gas e della leva del freno, della leva della frizione e della leva del cambio, un connubio di pinzate anteriori e posteriori e poi via, a far correre la moto dentro la curva. Mentre percorro la curva e le pedane sfiorano l’asfalto io sono la moto, e toccare l’asfalto con le mani è bello, è ruvido, è amico.
La luce piena e calda della metà di settembre è più sottile ed affilata di quella pesante e grassa di agosto, e la stessa aria è più leggera e vi penetro senza difficoltà. Essa mi porta i profumi del taglio dell’erba e dei campi ancora verdi, l’afrore delle piantagioni e l’aroma della collina sono come un delicato e persistente sottofondo musicale che è sempre presente e sempre suonato, ma che si percepisce quando gli si dedica l’attenzione che esso suggerisce e mai impone.
La strada scende e sale dalla collina, ed è meraviglioso il momento in cui cominciano a comparire i sempreverdi: la luce diventa ancora più chiara e riverbera allegra ed acerba sull’asfalto chiaro e granoso. Un breve rettilineo dopo un tornante tondo e la manetta si capovolge, mentre il motore esegue il mio comando e scala poderoso la scaletta del contagiri. La moto si inarca e si appiattisce il retrotreno, e la sinfonia degli organi meccanici, dell’aspirazione e dello scarico, riempiono e saturano tutti i miei sensi. Il rombo rimane pieno e corposo ma la frequenza aumenta, diventa acuto e invadente, cambio marcia e rallento, mentre io godo intensamente.
E’ impegnativa la retrospezione necessaria a recuperare il tempo e lo spazio, ma è un lavoro proficuo che alla fine dello stesso ripaga con un vago ma piacevole ricordo di quello che è stato.
E conduce, inevitabilmente, al desiderare che esso si ripeta ancora.
Schwarz!
del viaggiare.
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Alessandro Riccardi detto Schwarz
ETV 1000 Capo Nord "Schwarzer Adler"
ex Gsx 600 F "Turbinosa"
ex Bmw F650 "Destriero"
Cesano Maderno (MI)
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