La Foresta.

Qualunque pensiero abbia a che fare con due ruote ed un motore: filosofie di vita, siti internet e vecchi libri, e' meglio la moto o le donne, dove andiamo a cena stasera, un po' tutto quello che vi va. Il primo bar virtuale dove chiacchierare con gli amici.

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Schwarz
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La Foresta.

Messaggio da Schwarz » 2/1/2004, 14:22

Il viaggio come metafora della vita. Pensavo questo mentre la moto scivolava nella strada immersa nel grande bosco. Erano ormai ore che stavo attraversando questo immenso parco. Una cosa dapprima piacevole, poi sempre più preoccupante. In Italia non mi era mai capitato di guidare più di una mezz’ora in un bosco. Qui erano diverse ore che il nastro d’asfalto si insinuava alieno in questa immensa foresta di conifere. Un tempio immenso, una moltitudine indescrivibile gli alberi attorno a me. Altissime e slanciate frecce che penetravano un cielo di un blu quasi sempre nascosto alla mia vista. Il grosso serbatoio della mia moto unito all’andatura tranquilla mi rassicurava, ma il sentimento di smarrimento rimaneva latente.
Quando il sole cominciò a tuffarsi verso l’orizzonte le luci e i colori si smorzarono, e sentii il bisogno di un riparo. Cercai una strada che si infilasse nel bosco e vidi uno sterrato abbastanza battuto nel quale svoltai, mentre le sospensioni della mia moto cominciavano a scorrere finalmente per buona parte della loro escursione utile.
Giunto in un buon punto, leggermente inclinato e con una buona copertura dal vento, riparato sui lati, decisi di piantare la tenda. Parcheggiai la moto e per prima cosa controllai se il terreno non fosse eccessivamente umido e se il riparo offertomi dal terrapieno alle mie spalle fosse sufficiente per ripararmi dal vento. Aprii la sacca che stava sulla sella posteriore e cominciai a piantare la tenda. I picchetti entrarono con facilità nella terra morbida e bruna; stando così vicino al terreno potevo sentirne l’odore umido e complesso, ricco di vita.
Piazzai la tenda a ridosso del grosso mucchio di terra sul quale crescevano alcuni piccoli abeti e cominciai a raccogliere la legna. Trovai un piccolo abete abbattuto da un fulmine e con l’accetta tagliai alcuni pezzi della base, che mi avrebbero assicurato una brace calda e consistente per molte ore. Con il coltello raschiai la corteccia un poco umida per mettere a nudo il legno, mentre dividevo la legna in due mucchietti, uno più umido e uno più asciutto.
Raccolsi anche alcuni rami più piccoli per far partire il fuoco con una fiamma più vivace e colorata, cosa importante quando si viaggia da soli e la solitudine si fa strada nel cuore della notte. Arrivai alla mia tenda e accesi il fuoco. Mentre bruciavo la legna più asciutta misi i rami più umidi a ridosso del fuoco perché si asciugassero, ed era piacevole vedere l’umidità vaporosa e profumata che si levava dal legno di pino.
Questo era uno dei momenti più importanti del viaggiare: l’accendere il fuoco è un gesto ripetuto talmente tante volte dall’uomo per migliaia di anni che le poche centinaia di anni di civiltà ancora non avevano cancellato la sensazione di forza del dominio del fuoco e la sicurezza infusa dal calore sprigionato dal rogo. Dalla tanica di acqua che avevo con me prelevai quanto mi bastava per stemperare la minestra liofilizzata. Una volta scaldatala ci inzuppai qualche galletta; un paio di biscotti conclusero una cena spartana quanto la mia permanenza nella foresta. Dopo il tramonto, quando il giallo vivido del falò sostitui il rosso del sole ormai stanco, la foresta si animò. Mi accorsi che stavo ripercorrendo alcune delle tappe che tanto avevano segnato il nostro istinto umano. Anche senza aver frequentato corsi di antropologia non era difficile cogliere delle analogie curiose. Era anche un modo per non lasciare spazio a quella paura che sentivo salire dallo stomaco ogni volta che nel buio sentivo dei rami scricchiolare. Non sapevo se la foresta fosse popolata di animali pericolosi, ma la mia mano scese vicino al grosso coltello che portavo appeso al fianco, un piccolo feticcio che mi dava un poco di conforto e sicurezza. Gli uccelli notturni marcavano il territorio con i loro brevi e schioccanti avvertimenti, mentre quasi tutti i roditori facevano incetta di bacche e ghiande. Qualche passo più marcato indicava i mammiferi più grossi, ma erano perlopiù timidi cervi che scomparivano al minimo accenno di movimento. Il fuoco manteneva lontani tutti gli animali, fino a quando rimaneva acceso.
L’unico cattivo cliente che la combustione della legna non riusciva a scacciare era la nostalgia. Una fortuna inattesa mi aveva concesso la possibilità di potermi dedicare al viaggio in moto che più sognavo da anni, senza limiti di costi e di tempo. Ora era diventato una realtà, ma così come la fretta aveva lasciato indietro tutto in questo percorso di conoscenza, così tutte le persone che avevo lasciato in Italia erano con me ogni sera. La nostalgia di una bella pizza in compagnia degli amici, le birre bevute sognando viaggi come quello in cui ero immerso ora, la tenerezza immensa che mi sorprendeva ogni mattina mentre salutavo mia madre prima di andare a lavorare, il corto viaggio con la mia automobile fino al posto di lavoro, il solito bar dove andare a mangiare durante la pausa pranzo.
Il distacco da tutto quello che era stata la mia vita fino ad allora era lacerante. Anche se la separazione era temporanea, anche se non definita nel tempo, il dubbio che tra la mia volontà e la mia felicità ci fossero diversi chilometri non si era mai palesato. Fino ad allora il viaggiare era rimasto un sogno su cui scaricare le delusione della quotidianità.
Un poco amaro come il whisky che stavo sorseggiando, questo pensiero mi distraeva dalla foresta rumorosa ma decisamente inoffensiva.
Entrai in tenda e mi avvolsi nel sacco a pelo come in un bozzolo, mentre lentamente i grossi pezzi di legna che avevo messo sul fuoco prima di coricarmi bruciavano lentamente e pazientemente, emettendo una debole fiammella e un crepitìo basso e rassicurante.
Il sonno mi colse rapido e potente, fino all’alba.
Mi svegliai nel mio letto, in Italia. La Uno parcheggiata davanti al garage, mia madre da salutare, i colleghi da incontrare. E la mia moto chiusa nel box.
Le ruote sporche di terra nera, e cosparsa di aghi di pino sul paramotore e sul parafango.
Schwarz!
Alessandro Riccardi detto Schwarz
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Messaggio da ragazzino » 2/1/2004, 16:09

che bel sogno :-D
oppure no :shock:
cmq mi hai fatto ricordare esperienze simili
vissute qualche anno fà
complimenti :-D
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IL PADRINO PARTE II°

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zio
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Messaggio da zio » 2/1/2004, 17:31

complimenti gran bella storia :-D :-D :-D
:pecorella: ZIOPOWER :pecorella:
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Greywolf
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Messaggio da Greywolf » 2/1/2004, 18:17

Quando ci andiamo, Vecchio? :-banana
In data 29/06/2012, Lupin ha scritto: "Mi tira il culo dirlo ma devo dare ragione al Grey! "

:coz: :lupino: :-banana :coz: :lupino: :-banana :coz: :lupino: :-banana

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